Ti ricordi "Desolation Row", il capolavoro folk di Bob Dylan che descrive una strada fangosa, notturna, affollata di anime perse e celebrità sconfitte? Forse il cantautore trasse spunto dall'impressione che Jack Kerouac ebbe entrando a Denver attraverso la sua arteria madre, Larimer Street, il cui nome ricorda il generale e speculatore che nell'Ottocento fondò la città, all'inizio non molto più di uno stazzo impiantato nella pianura fangosa, per offrire asilo a migranti, pionieri, banditi, un covo malfamato di saloon e brutti ceffi. La prima via della capitale del Colorado era un scia incarbonita, affumicata, odorosa di alcool e dolori senza voce, più scura della stessa notte, un magma buio dal quale scaturiva però l'anima dell'America, il suo spirito di cammino e ricerca. Lo stesso amico e compagno di viaggio di Kerouac, Neal Cassady, spontaneo e ingenuo esponente della Beat Generation in cui l'autore di "On the Road" vedeva il vento del West, un'ode delle praterie, il figlio occidentale del Sole, folle, vorace, era cresciuto in quel bassofondo, figlio di un padre reso assente dal vino, a fare l'elemosina, vagabondare, rubare, più per divertimento e voglia di scoperta che per altro. Oggi il volto di Larimer è diverso. Le vecchie case basse in mattoncini ospitano ristorantini, locali raffinati, negozi alla moda. Eventi periodici di street art ne impreziosiscono l'asfalto di splendide pitture. L'aria che vi tira, però, è la stessa di sempre. E sa di spazi, promesse, vita.
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